Pensioni contributive: un sistema iniquo e inefficiente.

Pensioni contributive: un sistema iniquo e inefficiente.

Dal 1995 in poi le pensioni sono calcolate con METODO CONTRIBUTIVO. In sintesi, si riceve in pensione solo ciò che si è versato in contributi.

Sembra un sistema equo: ciascuno costruisce la propria pensione con i contributi versati durante la vita. Un piano di risparmio a tutti gli effetti.

In realtà questo sistema è iniquo e gravemente inefficiente. Ribaltando sulle spalle dei singoli l’onere di costruirsi la propria sicurezza economica, abbandona a se stessi i lavoratori che per i più svariati motivi (malattia, difficoltà lavorative, discontinuità della carriera, eventi imprevedibili, spese familiari) non riescono a raggiungere il goal di un risparmio sufficiente.

Se il goal fosse semplice, il sistema funzionerebbe.
Ma il goal non è semplice.

Una pensione da 12.000 euro lordi annui (1.000 lordi mensili) richiede un accantonamento di 228.000 euro sul proprio conto pensionistico personale.

Nella più rosea delle previsioni, un lavoratore dovrebbe accantonare almeno 150-180.000 euro nel corso della vita e l’Ente di previdenza dovrebbe garantirgli gli altri 50-70.000 euro per raggiungere l’obiettivo. E stiamo parlando di una pensione minimale, la soglia che viene considerata di sopravvivenza del sistema previdenziale svedese.

Dal lato del lavoratore, significa accantonare una cifra di 4-5.000 euro l’anno per 35-40 anni. Ragioniamo sempre a spanne, è solo per capire l’ordine di grandezza.

Questo è l’ordine di grandezza con cui ci dobbiamo confrontare.
Sono numeri.
Non hanno sentimenti.
Non hanno opinioni.

Sono informazioni pubbliche, facilmente reperibili fin dal 1996. Eppure se chiedessimo ad un campione di italiani scelti a caso di indicarci l’ordine di grandezza dei contributi necessari per costruire una pensione, o il costo di una pensione per lo Stato, probabilmente non saprebbe rispondere.

Stupidi? No, assolutamente. Semplicemente la nostra mente non è fatta per gestire questo tipo di informazioni. Le persone, lasciate a se stesse, risparmierebbero molto meno del necessario.

Per questo motivo esiste l’obbligo contributivo. Nessun Paese sviluppato al mondo basa la sua previdenza sul comportamento volontario delle persone. Tutti adottano forme di risparmio obbligato.

Ma non è detto che basti. L’attuale sistema previdenziale italiano, fondato sul puro metodo contributivo, non raggiunge gli obiettivi che dovrebbe. Si regge matematicamente, forse. Ma non si regge socialmente. L’attuale sistema previdenziale fondato sul puro metodo contributivo, se non sarà corretto per tempo, rischia di creare una generazione di anziani indigenti che squilibrerà profondamente la società fra qualche decennio.

La previdenza di base, che dovrebbe proteggere la collettività dall’inedia dei cittadini quando smettono di lavorare, oggi non funziona. La previdenza in Italia dal 1996 è fondata su un sistema che non garantisce un minimo vitale e che non assicura l’equilibrio sociale.

ENPAP non fa eccezione. ENPAP è come il pianeta Terra nell’universo: un piccolo puntino che naviga negli spazi gravitazionali, potendo decidere solo in parte il proprio destino. Siamo schiavi del sistema previdenziale.

ENPAP può migliorare di molto la vita pensionistica degli psicologi. Negli anni in cui ho fatto parte del Consiglio di Amministrazione abbiamo realizzato due importanti iniziative: la possibilità di riversare i rendimenti degli investimenti sui montanti degli iscritti, e l’aumento dei contributi in modo volontario attraverso i nudge.

Ma ENPAP è una nave che naviga in un mare in tempesta, può migliorare molto la vita del proprio equipaggio ma non può risolvere radicalmente il problema previdenziale che è strutturale del metodo contributivo.