Quote di genere in ENPAP: prime riflessioni.

Un articolo sulle quote di genere negli organi elettivi di ENPAP mi frulla in testa da mesi.

È stato uno degli argomenti della campagna elettorale recente, ma secondo me in campagna elettorale è stato trattato in modo del tutto strumentale dalle liste.

Per cui, non è stato dato a questo argomento il giusto spazio di riflessione, come invece avrebbe dovuto essere sulla base dei molti rilievi delle iscritte e degli iscritti.

Di questo primo articolo ho scritto e riscritto diverse bozze. Mai pubblicate.

Ho pensato se proporlo alla redazione di Altrapsicologia, oppure se pubblicarlo a titolo del tutto personale sul mio blog.

Non è facile scrivere di questo argomento: è complesso, controverso, scivoloso.

Questo è uno di quegli argomenti che non si prestano a conclusioni definitive. Ma che si impongono alla riflessione.

Alla fine ho scelto: pubblico questo primo e preliminare articolo, a titolo del tutto personale e cercando di spogliarmi di tutti i ruoli (che a volte sono davvero stretti) che ho in Altrapsicologia o in ENPAP.

Sono quindi opinioni del tutto personali, e soprattutto del tutto preliminari.

Sento di avere ancora molto da studiare e molto da capire, sulla questione delle quote di genere negli incarichi elettivi e negli organi di vertice.

LA STORIA INIZIA DA QUI

La riflessione inizia all’alba del giorno dopo le elezioni ENPAP 2021, il 6 marzo 2021.

Salvo imprevisti o rinunce, risulta eletto un CdA composto da 4 uomini e 1 sola donna.

Si tratta di una composizione sbilanciata verso il genere maschile, che non rispecchia la composizione percentuale di genere della categoria.

I tre CDA precedenti erano erano composti da 3 donne e 2 uomini.

Uno di questi CDA, tra il 2009 e il 2013, permise lo scandalo di via della Stamperia.

I due successivi, 2013-2017 e 2017-2020, hanno completamente ricostruito l’ENPAP su nuovi presupposti.

Questo recente risultato, per il quadriennio 2021-2025, esprime la volontà di elettrici ed elettori e le scelte legittime delle liste.

Va quindi rispettato come frutto di meccanismi democratici.

Ma ci dobbiamo comunque interrogare.

Dobbiamo chiederci, come comunità, se riteniamo che un tale risultato sia un’anomalia dal punto di vista della composizione di genere oppure no.

In caso affermativo, dobbiamo chiederci se riteniamo necessario o utile introdurre meccanismi compensativi per le future elezioni.

IL DIBATTITO SULLE QUOTE DI GENERE

La questione delle quote di genere nei Consigli di Amministrazione – ancorché elettivi e non di nomina – va affrontata da un punto di vista più generale rispetto al nostro ristretto contesto di categoria.

È un tema che incrocia diversi versanti.

Un primo versante è etico.

Una composizione di genere degli Organi di vertice delle organizzazioni che è sistematicamente sbilanciata sul versante maschile, potrebbe essere sintomo di una indebita esclusione di una parte della cittadinanza solo perché di sesso femminile. Il famoso soffitto di cristallo.

Abbiano pazienza i maschi se il discorso riguarda solo loro, ma non nascondiamoci dietro a un dito: il problema non è mai di Consigli di Amministrazione sbilanciati sistematicamente in senso femminile.

Un tale silente meccanismo di esclusione andrebbe combattuto a prescindere, perché discriminatorio.

Un secondo versante è di efficienza.

Una collezione di risultati di ricerca in campo economico – abbastanza solidi – mostra come le società quotate con presenza femminile e/o con equilibrio di genere nei Consigli di Amministrazione producono risultati migliori, ad esempio maggiori profitti.

Si tratta di evidenze scientifiche.

Difficile dire cosa esattamente funzioni.

Ma è possibile che le due variabili – equilibrio di genere in CdA e migliori risultati – siano entrambe risultanti di un fattore culturale a monte.

Ad esempio potrebbero essere risultato di una migliore qualità complessiva dell’organizzazione, che si riflette sia in eque opportunità per le persone a prescindere dal genere, sia in migliori risultati in termini di profitti.

Queste evidenze sono così solide da essere state recepite perfino nella MIFID 2.

La direttiva prescrive che i CdA degli organi di gestione di banche e società di investimento devono essere diversificati per età, sesso, provenienza geografica e percorso formativo e professionale.

Il razionale è di “evitare l’instaurarsi di una mentalità di gruppo”, che tenderebbe a generare decisioni polarizzate e non rappresentative della pluralità delle idee esistenti.

Un terzo versante è di rappresentanza politica.

Qui il tema è la scelta delle caratteristiche sociali e demografiche a cui dare voce negli organi elettivi, ovvero quali caratteristiche di una popolazione richiedano di essere rappresentate.

Ad esempio, un criterio tradizionalmente rappresentato è quello territoriale, in cui a ciascun territorio viene riservato un numero di seggi. 

Un altro criterio è la numerosità delle popolazioni, per cui a ciascun territorio sono assegnati seggi in proporzione al numero di abitanti.

I criteri a cui si potrebbe dare voce sono virtualmente infiniti: età, condizione reddituale, sesso, condizione lavorativa, colore degli occhi, religione, numero di figli, possesso di un’auto o di un animale domestico.

Ogni volta che si aggiunge un criterio a cui dare forzatamente rappresentanza, si aumenta il grado di ‘balcanizzazione’ degli organi politici e si riduce la libertà degli elettori e la possibilità di selezionare realmente i talenti.

La questione delle ‘quote rosa’ o ‘quote di genere’ si inserisce in questo dibattito: è giusto dare una rappresentanza elettiva condizionata alla composizione di genere della popolazione rappresentata?

E si complica di un ulteriore e complementare interrogativo: le donne, in quanto donne, sarebbero meglio rappresentate da donne, alla stessa stregua di un Altoatesino che si presuppone meglio rappresentato da un Altoatesino?

Sono tutti interrogativi aperti a cui è difficile rispondere in maniera univoca.

QUOTE ROSA E DIVERSIFICAZIONE

Dando per assunto che gli interrogativi di cui sopra siano risolti, e che si sia giunti alla conclusione che sia necessaria un’attenzione all’assortimento e alla rappresentanza di genere, si pone l’ulteriore questione della modalità.

Come realizzare diversificazione di genere e rappresentanza femminile negli organi elettivi?

Le soluzioni sono sostanzialmente due: (1) le quote ‘rosa’, cioè una quota femminile, oppure (2) le quote di ‘diversificazione’, cioè una distribuzione numericamente equilibrata fra i sessi (“almeno il 40% dei posti al genere meno rappresentato”).

Sono criteri apparentemente simili, ma in realtà partono da presupposti diversi.

La diversificazione riguarda la necessità di rappresentare in modo ampio idee, condizioni, culture, esperienze, così che i processi decisionali siano il più possibile efficienti e siano sottoposti a prove di verità, pertinenza e validità sociale.

Il criterio da cui parte la Mifid 2, ad esempio. Che non si limita a parlare di genere ma aggiunge età, provenienza geografica, percorso formativo e culturale.

L’intento è di evitare di comporre vertici societari e istituzionali troppo omogenei per idee ed esperienze, per evitare decisioni polarizzate e gruppi di potere.

Le ‘quote rosa’ rispondono invece ad un obiettivo specifico di riduzione della discriminazione femminile e di parificazione delle opportunità, riconoscendo che le persone di sesso femminile e la comunità femminile in generale sono oggettivamente discriminate nell’accesso a ruoli di vertice.

Inoltre le ‘quote rosa’ risponderebbero alla necessità di rappresentare la peculiare esperienza sociale e professionale delle donne, che è radicalmente diversa da quella maschile e non facilmente interpretabile da un uomo.

La mia idea sulla faccenda è che un uomo non potrà mai rappresentare pienamente le donne.

Questo per varie ragioni.

Prima fra tutte, perché gli uomini sono parte del problema, che lo vogliamo o no.

E poi, perché un uomo non vive sulla propria pelle la condizione femminile, perché è bendato dal proprio stesso essere maschio cresciuto in una cultura di stampo patriarcale.

LE ‘QUOTE ROSA’ SONO GIUSTE?

Il tema è aperto e il dibattito molto vivo. Numerosi report istituzionali riassumono le diverse argomentazioni pro e contro, ed è inutile che le riporti qui.

La mia personale opinione è che oggi sia probabilmente giusto e necessario stabilire un sistema di quote rosa nelle composizioni degli organi di vertice, anche elettivi.

Le mie motivazioni sono tre:

1. In questo momento storico esiste un gap di genere che non guarirebbe da solo.

Lo si rileva nell’accesso alle posizioni di vertice, è statisticamente significativo e non giustificato da motivi di merito o di rappresentanza.

Lasciato a se stesso, questo stato di cose non si modificherebbe da solo.

Va quindi corretto, almeno temporaneamente, con metodi meccanici.

2. Il gap colpisce in modo iniquo, perché impatta sulla parte femminile della popolazione determinando uno svantaggio nell’inserimento lavorativo e nell’accesso a posizioni decisionali.

Questo svantaggio non trova giustificazione in criteri di merito, competenza, livello di istruzione o distribuzione del talento.

E’ un gap di matrice soltanto culturale e sociale, e di natura discriminatoria.

Se si vuole una società più equa, è necessario contrastare anche forzatamente gli ostacoli all’equità.

3. Il gap di genere crea una selezione inefficiente delle persone.

Le donne partono con un handicap che non dipende dalle qualità, dalle competenze o dal valore che potrebbero generare per la società.

La selezione dei talenti sconta in modo diffuso e sistematico un filtro di genere che ha alcun fondamento in criteri di efficienza o competenza.

Questa inefficienza del sistema merita di essere corretta attraverso un meccanismo meccanico forzato, così che la selezione e la ritenzione dei talenti funzioni in modo più efficiente e oggettivo.

IN CONCLUSIONE

A mio parere, oggi le condizioni storiche e sociali sono troppo consolidate per potersi modificare spontaneamente. Non succederà.

Credo che oggi sia legittimo e forse necessario operare con metodi meccanici per parificare le opportunità fra i generi.

Forse fra 30 anni non sarà più così, ma oggi lo è.

Lo è per una questione etica, di equità fra persone.

Mia figlia deve avere, a parità di ogni altro fattore, le stesse opportunità di mio figlio. Perché è una cittadina al pari dei maschi.

Lo è per una questione di efficienza sociale, e quindi per un beneficio per tutta la collettività.

Non è efficiente un sistema che limita sistematicamente la partecipazione ai processi decisionali di vertice metà della popolazione.

Lo è per una questione di recupero dei talenti che oggi sono sprecati a causa di un sistema di selezione e attrazione inefficiente, che filtra in base al genere e non alle competenze.

Questo il mio pensiero, a oggi. Preciso ancora una volta che è un pensiero personale e che le mie riflessioni sul tema sono in evoluzione e approfondimento.