Relazioni e certificati: che valore legale hanno?
Scrivere certificati e relazioni è un’attività frequente per gli psicologi. Ma che valore legale hanno?
La risposta è: dipende dal ruolo che rivestiamo. La differenza non riguarda la persona del professionista – che in quanto tale può sempre relazionare su ciò che ritiene – ma il ruolo che sta svolgendo.
Le situazioni possono essere due:
(1) Il certificato in libera professione. Equivale all’opinione di un privato cittadino, legalmente è come una scrittura privata. Per il Codice Civile la scrittura privata non ha valore di prova. In altre parole, non dimostra che ciò che c’è scritto è vero. Dimostra solo l’identità dell’autore (art. 2702 c.c. “La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta…”).
(2) Il certificato come professionista pubblico. Questo certificato ha valore pubblicistico, ciò che c’è scritto viene considerato vero per tutti e può essere usato come prova in tribunale. Assume quindi un’importanza determinante, perché può avere effetti diretti sulla vita delle persone. Ogni certificato/relazione scritta come emanazione di un organismo pubblico va quindi fatta con prudenza.
Un esempio concreto: la relazione di uno psicologo libero professionista in cui c’è scritto che il genitore Tizio reca un grave pregiudizio al figlio Caio non può avere immediate conseguenze sulla vita di Tizio e Caio, perché il fatto riportato è un’opinione, ma non è una prova. La stessa identica relazione rilasciata dallo stesso psicologo, ma in qualità operatore di un servizio pubblico di tutela minori, per il tribunale è una prova che Tizio sta effettivamente recando pregiudizio a Caio, e può avere conseguenze immediate sulla loro vita.
In giurisprudenza esistono due casi interessanti su questo argomento:
Caso 1: Sentenza del Consiglio di Stato n. 4933/16
La sentenza riguarda il caso di un cittadino straniero che, per dimostrare di essere stato presente in Italia in un certo periodo, aveva presentato il certificato di un medico libero professionista. Il certificato non è stato considerato una prova della presenza del cittadino straniero in Italia.
Dallo stralcio della sentenza, “una certificazione medica proveniente da un professionista privato (…) non può essere qualificata come una certificazione amministrativa, perché proveniente da un libero professionista, non titolare di funzione pubblica.”
Caso 2: Decisione n. 24/2017 della Commissione Nazionale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie.
[ VEDI DECISIONE 24 – MASSIMA N° 6]
La Commissione Nazionale è l’organo di appello contro le sanzioni disciplinari per alcune categorie professionali, fra cui i medici. La decisione n. 24 del 25/5/2017 ribadisce la differenza di valore legale fra certificazioni rilasciate nel contesto pubblico e nel contesto privato:
“È qualificabile come certificato medico l’atto che presenta tutti i requisiti tipici ed essenziali della certificazione medica, quali intestazione o timbro del medico certificante; generalità del paziente richiedente; oggetto della certificazione con eventuale diagnosi e prognosi di malattia; firma del medico certificante; data e luogo di redazione del certificato. Il certificato medico non è altro che una testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge, ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa. Le certificazioni redatte dal medico in qualità di libero professionista sono considerate scritture private ai sensi dell’art. 2702 c.c. e il sanitario è definito esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.). La circostanza che il medico libero professionista non rediga un atto pubblico in senso proprio o un certificato amministrativo, in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, certamente non è idonea a esonerarlo dalla responsabilità disciplinare rispetto a un comportamento contrario ai principi del Codice deontologico, né a dispensarlo dall’incorrere in responsabilità penale nei casi più gravi (reato di falso ideologico ex art. 481 c.p.). Il fatto di aver attestato in data postuma la sussistenza di un determinato stato o condizione di salute del paziente non verificato personalmente, integra violazione del dovere di veridicità, che è alla base del principio di affidamento delle certificazioni mediche, ai sensi dell’art. 22 C.d. – decisione n. 24 del 25/5/2017”
Conclusioni
Ogni professionista [sanitario] può rilasciare certificazioni e relazioni. Queste relazioni possono contenere valutazioni tecnico-professionali su una certa situazione.
Se il sanitario sta agendo come libero professionista, ciò che scrive è una testimonianza privata ma non ha valore pubblicistico, e quindi di prova in tribunale.
Se il sanitario sta agendo come emanazione di un organismo pubblico che gli ha conferito un ruolo pubblicistico, ciò che scrive è un atto pubblico e ha valore di prova in tribunale.
In entrambi i casi si tratta di atti professionali, di cui il professionista è pienamente responsabile sul piano deontologico e legale.